Fra i manoscritti di Galileo che si conservano nella Biblioteca nazionale di Firenze, si trova una poesia in antico dialetto padovano, dedicata al grande Matematico allora insegnante nella nostra Università. La dedica si esprime così: «Favelamento de Rovegiò della Valle de fuora, e de (Tuogno Regonò de la Villa de Veggian, sora la nleve dell'anno 1608. A segnor Galileo de i Galiliegi, vero arecoltore de le Smatemateghe, e sleanzaore (lettore} in lo Bò de Pava, a gi scuelari de la so prefìssien» Il nostro compianto prof. Gloria attribuì quella poesia ad Alessandro Piersanti servitore di Galileo in Padova. Sappiamo che Galileo stesso, benché toscano, conosceva perfettamente la vecchia lingua rustica padovana, e si divertiva a leggere gli scritti del Ruzzante. Di quel terribile inverno del 1608 scriveva lo stesso Galileo in data 8 febbraio, che la neve era caduta in tanta quantità: ed i canali erano così ghiacciati che fu impedito il transito tra Padova e Venezia e che la neve in città èra alta più di tre braccia (quasi due metri). Il Podestà diede ordine a tutti l proprietari dl case di far sgombrare i tetti che avrebbero potuto sprofondare sotto il peso ed a tutti i cittadini di portare la neve dalle strade nel fiume ma la neve continuò a cadere quasi ogni giorno per tutto il febbraio.
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